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Mistero sul “passo Dylatov”: come sono morti quei nove ragazzi? Riaperto il caso dopo 61 anni

Nove morti inspiegabili che ancora oggi non trovano risposta. Nel febbraio del 1959 sette ragazzi e due ragazze di età compresa tra i 23 e i 37 anni, tutti studenti del Politecnico ed esperti scalatori, muoiono in circostanze misteriose sui Monti Urali. Precisamente sul versante orientale del Cholat Sjachl, soprannominata la montagna dei Morti. Sono trascorsi 61 anni e i partenti delle vittime così come i media russi, chiedono di sapere la verità su quanto è accaduto quella maledetta notte. Per far luce sull’intera vicenda, infatti, il caso è stato riaperto nel febbraio del 2019. L’ipotesi messa in piedi dal pubblico ministero è che le morti sono in qualche modo collegate a fenomeni naturali. Queste sono le parole di Alexander Kurennoy, rappresentate ufficiale del procuratore generale della Russia. “Parlare di omicidio è fuori discussione – aggiunge nel video pubblicato sul sito ufficiale – non esiste una sola prova, seppure indiretta, a sostegno di questa versione. Si tratta di una valanga, una lastra di neve o di un uragano”.
In tutto questo lasso di tempo ogni pista è stata battuta, ma, ad oggi, il caso resta ancora aperto. Che cosa è successo davvero quella notte? Igor, così si chiama il capo della spedizione, e i suoi amici da cosa sono stati colti di sorpresa? 

Partiamo dal principio. È un tranquillo inverno di guerra fredda. La temperatura si aggira fra i 25 e i 30 sotto lo zero. L’obiettivo della spedizione guidata da Igor Alekseyevich Dylatov è attraversare gli Urali settentrionali partendo dal villaggio di Vizhai per scalare il Monte Otorten. La squadra di scalatori è composta da dieci persone: otto uomini e due donne. Tutto è pronto per la spedizione e così, il 27 gennaio, partono alla volta degli Urali. Il giorno successivo alla partenza però uno dei ragazzi, Yuri Yefimovich Yudin, decide di rinunciare a causa dei reumatismi di cui soffre. Vista la breve distanza dal villaggio il gruppo concorda che può facilmente tornare indietro solo. E così Yuri abbandona la spedizione. Sarà l’unico sopravvissuto.
Durante la scalata, però, i ragazzi sono colti da una tempesta di neve che li costringe a deviare dal percorso stabilito. La neve e il forte vento fermano i scalatori che decidono di accamparsi proprio a Oblast’ di Sverdlovsk per la notte. Qui scattano una foto che verrà ritrovata di una delle macchine fotografiche del gruppo. Si vedono cinque di loro mentre ordinano le attrezzature e si preparano ad allestire il campo. Tutta sembra essere tranquillo, condizioni meteo a parte

Una volta conclusa l’escursione Dyatlov deve mandare un telegramma per confermare che la spedizione sia terminata senza problemi: gli accordi sono che il telegramma deve partire non più tardi del 12 febbraio dal villaggio di Vizhai. Ma prima che Yudin tornasse indietro Dyatlov lo aveva avvisato che, a causa del maltempo, la spedizione avrebbe potuto protrarsi oltre il limite fissato. Il 12 febbraio, infatti, non arriva nessun telegramma all’università. Si aspetta ancora una settimana, poi il 20 febbraio inizia l’operazione di soccorso. Il 26 febbraio, i soccorritori individuano la tenda sulle pendici del Kholat Syakhl. Lo studente Mikhail Sharavin – il primo soccorritore volontario a individuarla – testimonierà che “la tenda è mezza sfasciata e coperta di neve”. Da quel punto partono alcune orme.

I volontari, seguendole, arrivano sotto un cedro. Lì trovano i primi cinque corpi dei ragazzi: alcuni completamente nudi, con le mani bruciate mentre altri solo con la biancheria intima. Tutti però non hanno segni esterni di violenza. I cadaveri degli altri quattro verranno ritrovati tre mesi dopo, sotto quattro metri di neve. Sul corpo dei ragazzi sono presenti traumi inspiegabili che, per la loro potenza, non possono essere causati da altri esseri umani: cranio fracassato, cassa toracica compressa fino a spezzare le costole. Mentre un corpo, quello di una delle due ragazza, senza lingua. Intorno a questa macabra e inspiegabile vicenda si sono costruite le più assurde teorie: dal KGB agli Ufo. C’è chi pensa che addirittura i ragazzi siano morti a causa di uno Yeti, mentre altri credono che siano entrati in un area militare protetta dai sovietici e lì abbiano trovato la morte.
Quello che è certo è che nel 1959 il governo russo archivia la morte di Igor e dei suoi amici affermando che la causa sia “un’irresistibile forza sconosciuta”.

Ma a distanza di anni si intravede uno spiraglio di luce. Donnie Eichar scrittore e regista americano sembra aver trovato la risposta: i ragazzi sarebbero morti a causa di una tempesta perfetta. I venti, velocissimi, scontrandosi con la particolare forma a cupola della Montagna dei Morti danno vita a dei forti vortici di aria che creano dei mini tornado proprio dove c’è l’accampamento dei ragazzi. Inoltre tormente come questa possono generare anche una gran quantità di infrasuoni (il contrario degli ultrasuoni) che, non percepibili a orecchio umano, sono capaci di avere effetti sul
corpo. Le vibrazioni prodotte da queste particolari onde sonore, infatti, causano perdita del sonno, mancanza di respiro e, soprattutto, panico. Una psicosi che, amplificata dal buio della notte e dal frastuono dei tornado, potrebbe aver portato i nove ragazzi alla follia. E in seguito alla morte. La Pagina mancante di questa storia potrebbe quindi nascondersi nei ritrovamenti: rullini delle macchine fotografiche e i diari dei ragazzi. Cosa contengono? Ci sono davvero prove rilevanti per risolvere questo intricato giallo? Fatto sta che qualsiasi cosa sia accaduta 61 anni fa al passo di Dylatov – così è stato ribattezzato dopo la terribile vicenda – il mistero resta ancora aperto. Riusciranno le indagini e la moderna scienza forense a risolverlo?

FOTO GALLERY

In collaborazione con Nausica Samela

La redazione della Pagina Mancante
Matteo Cappella
@mrcape1
Alessandro Cracco
@alessandrcracco

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