In tutto questo lasso di tempo ogni pista è stata battuta, ma, ad oggi, il caso resta ancora aperto. Che cosa è successo davvero quella notte? Igor, così si chiama il capo della spedizione, e i suoi amici da cosa sono stati colti di sorpresa?
Partiamo dal principio. È un tranquillo inverno di guerra fredda. La temperatura si aggira fra i 25 e i 30 sotto lo zero. L’obiettivo della spedizione guidata da Igor Alekseyevich Dylatov è attraversare gli Urali settentrionali partendo dal villaggio di Vizhai per scalare il Monte Otorten. La squadra di scalatori è composta da dieci persone: otto uomini e due donne. Tutto è pronto per la spedizione e così, il 27 gennaio, partono alla volta degli Urali. Il giorno successivo alla partenza però uno dei ragazzi, Yuri Yefimovich Yudin, decide di rinunciare a causa dei reumatismi di cui soffre. Vista la breve distanza dal villaggio il gruppo concorda che può facilmente tornare indietro solo. E così Yuri abbandona la spedizione. Sarà l’unico sopravvissuto.
Durante la scalata, però, i ragazzi sono colti da una tempesta di neve che li costringe a deviare dal percorso stabilito. La neve e il forte vento fermano i scalatori che decidono di accamparsi proprio a Oblast’ di Sverdlovsk per la notte. Qui scattano una foto che verrà ritrovata di una delle macchine fotografiche del gruppo. Si vedono cinque di loro mentre ordinano le attrezzature e si preparano ad allestire il campo. Tutta sembra essere tranquillo, condizioni meteo a parte
Una volta conclusa l’escursione Dyatlov deve mandare un telegramma per confermare che la spedizione sia terminata senza problemi: gli accordi sono che il telegramma deve partire non più tardi del 12 febbraio dal villaggio di Vizhai. Ma prima che Yudin tornasse indietro Dyatlov lo aveva avvisato che, a causa del maltempo, la spedizione avrebbe potuto protrarsi oltre il limite fissato. Il 12 febbraio, infatti, non arriva nessun telegramma all’università. Si aspetta ancora una settimana, poi il 20 febbraio inizia l’operazione di soccorso. Il 26 febbraio, i soccorritori individuano la tenda sulle pendici del Kholat Syakhl. Lo studente Mikhail Sharavin – il primo soccorritore volontario a individuarla – testimonierà che “la tenda è mezza sfasciata e coperta di neve”. Da quel punto partono alcune orme.
I volontari, seguendole, arrivano sotto un cedro. Lì trovano i primi cinque corpi dei ragazzi: alcuni completamente nudi, con le mani bruciate mentre altri solo con la biancheria intima. Tutti però non hanno segni esterni di violenza. I cadaveri degli altri quattro verranno ritrovati tre mesi dopo, sotto quattro metri di neve. Sul corpo dei ragazzi sono presenti traumi inspiegabili che, per la loro potenza, non possono essere causati da altri esseri umani: cranio fracassato, cassa toracica compressa fino a spezzare le costole. Mentre un corpo, quello di una delle due ragazza, senza lingua. Intorno a questa macabra e inspiegabile vicenda si sono costruite le più assurde teorie: dal KGB agli Ufo. C’è chi pensa che addirittura i ragazzi siano morti a causa di uno Yeti, mentre altri credono che siano entrati in un area militare protetta dai sovietici e lì abbiano trovato la morte.
Quello che è certo è che nel 1959 il governo russo archivia la morte di Igor e dei suoi amici affermando che la causa sia “un’irresistibile forza sconosciuta”.
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In collaborazione con Nausica Samela
La redazione della Pagina Mancante
Matteo Cappella
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Alessandro Cracco
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